Lampada a forma di razzo spaziale retrò

Era febbraio, il mondo celebrava l'atterraggio del rover Perseverance su Marte, ovunque risuonava la voce di David Bowie perché (con grande fantasia) ogni volta che si parla di spazio tutti pensano a Major Tom. Forse immaginare (e vedere!) mondi così distanti, a una distanza che è difficile anche da concepire, era un modo per dimenticare per un po' le traversie di questo mondo nostro, in un periodo storico che sarebbe un eufemismo definire travagliato.
Per le strane coincidenze che a volte attraversano la nostra vita, proprio in quei giorni ero rimasto affascinato dal modellino di Boeing, di metallo, visto su Instagram; e per un'altra concomitanza fortuita, avevo già da tempo ricavato da uno dei miei amati estintori una forma che poteva trasformarsi in qualcosa di simile.
E così mescolando tutto, insieme alla mia fascinazione per una certa estetica fantascientifica vintage, al me bambino che leggeva i fumetti e al me adulto che non ha dimenticato quel bambino, è nato un razzo spaziale retrò che è una lampada, e che con un VROOOM è pronto a portarci lontano, su Marte o dovunque la fantasia ci voglia guidare.

Non ho mai amato San Valentino; sono una persona patologicamente emotiva e romantica, sempre, ogni giorno dell'anno, e in più sono sempre stato un bastian contrario - ero quello che negli anni '90 non ascoltava i Guns N' Roses perché li ascoltavano tutti.
Quindi, l'idea che mi si dicesse quando e come essere innamorato e romantico, proprio quel giorno lì, con la cena i fiori i cioccolatini di quella marca, perché chissà chi lo aveva stabilito, proprio non mi è mai andato giù.
 
Però capita che si cresca, si cambi, si scopra che anche i Pearl Jam hanno scritto dei pezzoni, che la musica elettronica non è "non musica" solo perché non ha le chitarre, anzi; e che anche San Perug...ehm, San Valentino può essere vissuto con leggerezza, senza ricadere per forza nella triade cena-fiori-cioccolatinidiquellamarca ma come un'occasione in più di celebrare quella cosa lì, qualunque forma e significato si decida di darle. Continuando comunque, se mi va, a fare regali a chi amo (nel senso più ampio del termine), se mi va, il 27 novembre o il 15 giugno.
 
E allora ho voluto festeggiare questo San Valentino con un cactus a forma di cuore , perché sia un #amoresenzaspine.
 
E voi, credete negli amori senza spine? Quale modo migliore di dimostrarlo se non regalare questo cactus? Scrivetemi, prima che decida di tenermelo!
 
P.S. In Finlandia il 14 febbraio è la giornata degli amici. Abbracciateli stretti, di persona o virtualmente, che sono importanti.

Il tappo della damigiana dell'olio Carli (i miei nonni compravano l'olio Carli, sono affezionato a quel logo e a quei colori, fin da bambino) è chiaramente fatto per essere un paralume.
La base di marmo di quella coppa - di plastica- ottenuta anni fa alla mia prima gara di barba e baffi (premio per il più giovane, ho conservato la targhetta!), ovviamente è...una base. Basta togliere la finitura lucida.
E poi, tempo fa in un vicolo mi sono imbattuto in un'auto bruciata. Non ricordo da quale parte dell'auto provenisse, né ho mai saputo a cosa servisse quella ferraglia annerita e arrugginita a forma di maniglia; ma è perfetta per unire la base al paralume.
Qualcuno lo chiama pensiero divergente, per me è semplicemente guardare le cose.

Amo tutti i miei progetti, ma ce ne sono alcuni a cui lavoro ancora più volentieri perché destinati a persone con un entusiasmo contagioso; persone che mi fanno capire in ogni modo, ad ogni conversazione, ad ogni messaggio, quanto apprezzino il mio lavoro, e quanto abbiamo fiducia nelle mie capacità di progettazione e realizzazione. Se poi mi si propone qualcosa di affascinante, sfidante, che mi costringa a inventare soluzioni e che alla fine sia così bella che vorrei tenermela, allora ho trovato l’oro.
 
Una persona che già aveva acquistato da me una lampada da terra ora ne vagheggiava un’altra da installare nello stesso salone, simile ma diversa, più elaborata: avrebbe dovuto da un lato diffondere luce verso il soffitto e dall’altro illuminare la tastiera e il leggio di un pianoforte, e ovviamente abbinarsi alla sorella che vive nell’altro angolo della sala.
Il progetto era semplice: uno stelo principale con una lampada puntata verso l'alto, e imperniato su questo, a metà altezza, un braccio traversale. Nei primi disegni il braccio trasversale era semplicemente basculante, per poterne regolare l'altezza; ma non era possibile prevedere l'esatta collocazione e orientamento della lampada, a parte il vincolo della luce sul pianoforte, quindi, parlandone, abbiamo deciso per la massima flessibilità: avrebbe anche potuto ruotare rispetto allo stelo principale, per direzionarlo a piacimento.
Di qui tutto in discesa – più o meno: assemblare i due steli, progettare lo snodo che era letteralmente il cardine di tutto, costruirne un primo prototipo per essere certo che funzionasse, replicarlo “in grande” e capire come fissare il tutto, studiare un contrappeso da unire alla “coda” perché la struttura fosse bilanciata; e come sempre, escogitare, trovare sistemi, congegnare, affinare, riprogettare. Perché, come sempre, niente è di fabbrica in questa lampada, dalla base inventata a imitazione di quella esistente, ai faretti di acciaio inox ricavati da una gamba di tavolo.
 
E ora finalmente è nella sua nuova casa, ad ascoltare Beethoven. O Liszt. O Chopin. Brahms? Schubert? Chissà cosa le piacerà di più.
 

Sono stati mesi particolari, per usare un eufemismo. Mesi di inattività e di ripresa. Di tanto riposo prima, e di troppo poco riposo poi. Finalmente ho consegnato due mobili che aspettavano da troppo tempo, e mi prendo di nuovo un po’ di respiro per raccontare storie.
Da tempo guardavo due piattine di ferro recuperate mesi fa, lì appoggiate al muro, sapevo benissimo per cosa le volevo usare perché quasi sempre è il materiale a parlare, a dettare la forma; ma avevo altri progetti in corso, bisogna essere razionali, fare quello che c’è da fare, non perdersi in mille attività senza concluderne una. Disciplina, ci vuole.
Chi prendo in giro? Ovviamente a un certo punto non ce l’ho più fatta.
L’#artattack di un pomeriggio, misurare, valutare, cambiare leggermente il progetto originale, tagliare, saldare, e la struttura esterna è pronta; avrà un ripiano, scegliamo il legno, creiamo i supporti, fissiamo tutto ed è fatto! Non resta che portarlo a casa e divertirmi a fotografarlo con sopra tutto quello che mi viene in mente.
A qualcuno serve un comodino?
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Prosegue il mio scandagliare casa alla ricerca di possibili parti di lampade.
Il mantra per comporre una lampada di solito è sempre il medesimo: una base, uno stelo, un paralume.
Una base, uno stelo, un paralume.
Ci sono eccezioni, ovviamente, ho lampade fatte di una sola base con la lampadina a vista, ma in questi tempi mi piace l'idea di mantenere un certo rigore nella forma, dato che i materiali sono i più disparati e meno ortodossi. Un lavoro più concettuale che altro, anche se la funzione non va perduta, sono lampade, non sculture.
Così mi guardo intorno, cassetti, armadi, sgabuzzini, cantina, con il mio mantra in testa.
Una base, uno stelo, un paralume.
Una matassa di fil di ferro che anni fa avevo curvato ad arco e avvolto in un modo che mi sembrava in qualche modo artistico, senza avere la minima idea di come avrei potuto usarla; rinforzata da pezzi di uno di quei cerchietti di ferro che tengono i coprimozzi delle auto, e da altro fil di ferro.
Uno stelo.
Un barattolo di stucco che è rimasto mal chiuso; dentro c'è questa specie di meringa solidificata, così bianca. È leggero e non ha appigli, ma una colata di resina può dare il giusto peso e permettermi di ancorare lo stelo.
Una base.
Parti di lampade che ho qui in una scatola, questo è facile, basta scegliere. Scelgo la semplicità, il bianco, è il giusto complemento. Pare che tutto sia qui per una ragione, in fondo.
Un paralume.
Si parla tanto di libertà in questi di tempi di eremitaggio forzato. Eccola. La mia libertà è negli occhi che non smettono di cercare e vedere negli scarti forme nuove in divenire, è nelle mani che li seguono. La mia libertà può essere in un mantra.
Una base, uno stelo, un paralume.

Anche Malpeza è in quarantena. Il laboratorio è lontano da casa, e in laboratorio c'è tutto, materiali, attrezzi, progetti iniziati.
Ma le man chiedono di costruire, di assemblare, non importa cosa, non importa come, importa perché. Perché è una necessità.
E allora mi guardo intorno.
Ho una boule per l'acqua calda che tenevo buttata in un angolo da mesi, presa in qualche mercatino perché mi piaceva la forma e quel rilievo a forma di sole; niente flessibile, niente strumenti per tagliare il metallo ma per fortuna è alluminio, con un coltello multiuso e un paio di cesoie da giardinaggio posso trasformarla in un paralume.
Un pezzetto di tubo può fare da stelo, manca una base, una base, dove trovare qualcosa di adatto? Mi sembra di essere in crisi d'astinenza, devo concludere, devo costruire questa lampada. Rovistando nei cassetti ritrovo quei due blocchetti di marmo che erano qui prima di me, probabilmente erano qui prima che io nascessi, chissà che storia hanno.
Ora ne avranno una nuova.

Avevo pronto un post ruffiano, per salutare il 2019 che per questa mia creatura che è Malpeza è stato in effetti stracolmo di soddisfazioni, e salutare il 2020 che si spera ne dia ancora di più.


Poi il 31 dicembre ero in laboratorio per iniziare a costruire una libreria, il 1 gennaio ero in laboratorio a continuare la libreria, e ho pensato che non c'era modo migliore per concludere un anno e iniziare uno nuovo che essere lì, a tagliare, saldare e smerigliare.


Così il primo post del nuovo decennio (uuuh!) sarà questa lampada, che è la più stupida e buffa che abbia mai creato e sembra uno dei cannoni che usa Wile Coyote per catturare Beep Beep.


Ed è bellissimo così.