Malpeza significa "leggero", in esperanto; ed è un invito, una filosofia di vita più che una caratteristica.

Malpeza è legno e ferro, mobili, lampade ma non solo; creazione e attenzione, artigianato, cura.
Soprattutto, Malpeza sono le mie mani.

Ho iniziato questa cosa un paio d'anni fa, sul balcone di casa, provando a trasformare l'infisso di ferro di una vecchia e storica finestra in un tavolino.

Un paio d'ore di lezione di saldatura da Matteo, che non finirò mai di ringraziare, 15 metri quadri di caos, attrezzatura, legno recuperato, ferro trovato qua e là, e sono partito, quasi per gioco, per la voglia di costruire, di sfogare qualcosa che in fondo ho sempre avuto.
Nel frattempo ci sono stati altri tavolini, lampade, incidenti, bruciature e cicatrici, frustrazione a volte, ma in fondo la sensazione che, acciderbolina, questo è quello che sono nato per fare. Perché vedere qualcosa uscito dalle mie mani, che non esisteva e non sarebbe potuto esistere altrimenti in nessuna parte del mondo, e non è uguale a nient'altro ed è nato da materiali in cui solo io vedevo quello che ne sarebbe potuto scaturire, non è paragonabile a nient'altro.
È la realizzazione, la potenza della creazione e della testardaggine, del girare intorno ai problemi e trovarvi soluzioni fantasiose. Rimanere con lo sguardo perso nel vuoto a immaginare qualcosa, come i cani quando annusano l’aria, e poi averlo tra le mani, magari non esattamente come l’avevo visto nella mia testa, molte volte completamente diverso ma in qualche modo migliore perché in quel modo voleva essere, perché quella è la sua forma.
Poi arriva una persona che stimi, una di quelle persone la cui opinione vale oro, ti vede trafficare con lamiera e saldatrice e ti dice quella frase, “Tu dovevi cominciare prima.”.
Sì, dovevo cominciare prima. Ma ho tutte le intenzioni di recuperare.

 

Amo il legno da sempre, da quando, bambino, andavo nei boschi con mio nonno che con i rami mi costruiva arco e frecce per giocare, o mi intagliava piccoli coltellini che poi ho imparato a scolpire da me.

Ne amo il profumo, la consistenza, le venature, gli anelli di crescita che raccontano la sua storia; l'odore di resina che si sprigiona ancora potente tagliando un'asse che è rimasta anni dentro una cantina, il colore che riemerge sotto il grigio degli anni.

Poi è arrivato il ferro. Quando ho cominciato a capire che potevo lavorarlo, tagliarlo, sagomarlo, saldarlo, plasmarlo, è stata un'epifania. Prendere un materiale così solido, tenace, coriaceo e piegarlo alla mia volontà, dargli la forma che desidero (più o meno, diciamo), è una sensazione ogni volta inebriante. Che sia lucido, corrugato dal tempo o corroso dalla ruggine, è come un amico a cui tornare, in forme più canoniche o in oggetti senza più una destinazione, estintori usati, in vecchie bombole di gas, infissi che hanno cent'anni.

 

Cambiare l'illuminazione di una stanza, di una casa, di un locale ne trasforma completamente l'aspetto e l'atmosfera. La luce esalta o nasconde, riscalda o ghiaccia, avvolge o risplende.

Creo lampade che siano prima di tutto oggetti d'arredo, che possano avere il posto d'onore in una stanza o integrarsi con l'arredamento per dare quel tocco di unicità e stravaganza che non guasta mai. 

Ognuna è diversa dall'altra perché ognuna è frutto di un'idea, di un'ispirazione nata guardandomi intorno o rigirandomi a letto la sera, o nasce da un pezzo particolare trovato chissà dove che chiede di essere trasformato in un paralume.

Ci sono ore di lavoro dietro ad una mia lampada, ci sono tentativi, ripensamenti, momenti di frustrazione e slanci di euforia; ci sono disegni e calcoli, in alcuni casi, ma il più delle volte sono le mani che da sole decidono in che direzione andare, guidate dal materiale che è tutto fuorché inerte, è vivo come mi auguro sia viva ognuna delle creazioni di Malpeza.