Ho iniziato questa cosa un paio d'anni fa, sul balcone di casa, provando a trasformare l'infisso di ferro di una vecchia e storica finestra in un tavolino.
Un paio d'ore di lezione di saldatura da Matteo, che non finirò mai di ringraziare, 15 metri quadri di caos, attrezzatura, legno recuperato, ferro trovato qua e là, e sono partito, quasi per gioco, per la voglia di costruire, di sfogare qualcosa che in fondo ho sempre avuto.
Nel frattempo ci sono stati altri tavolini, lampade, incidenti, bruciature e cicatrici, frustrazione a volte, ma in fondo la sensazione che cazzo, questo è quello che sono nato per fare. Perché vedere qualcosa uscito dalle mie mani, che non esisteva e non sarebbe potuto esistere altrimenti in nessuna parte del mondo, e non è uguale a nient'altro ed è nato ma materiali in cui solo io vedevo quello che ne sarebbe potuto scaturire, non è paragonabile a nient'altro.
È la realizzazione, la potenza della creazione e della testardaggine, del girare intorno ai problemi e trovarvi soluzioni fantasiose. Rimanere con lo sguardo perso nel vuoto a immaginare qualcosa, come i cani quando annusano l’aria, e poi averlo tra le mani, magari non esattamente come l’avevo visto nella mia testa, molte volte completamente diverso ma in qualche modo migliore perché in quel modo voleva essere, perché quella è la sua forma.
Poi arriva una persona che stimi, una di quelle persone la cui opinione vale oro, ti vede trafficare con lamiera e saldatrice e ti dice quella frase, “Tu dovevi cominciare prima.”.
Sì, dovevo cominciare prima. Ma ho tutte le intenzioni di recuperare.