Ne amo il profumo, la consistenza, le venature, gli anelli di crescita che raccontano la sua storia; l'odore di resina che si sprigiona ancora potente tagliando un'asse che è rimasta anni dentro una cantina, il colore che riemerge sotto il grigio degli anni.

Poi è arrivato il ferro. Quando ho cominciato a capire che potevo lavorarlo, tagliarlo, sagomarlo, saldarlo, plasmarlo, è stata un'epifania. Prendere un materiale così solido, tenace, coriaceo e piegarlo alla mia volontà, dargli la forma che desidero (più o meno, diciamo), è una sensazione ogni volta inebriante. Che sia lucido, corrugato dal tempo o corroso dalla ruggine, è come un amico a cui tornare, in forme più canoniche o in oggetti senza più una destinazione, estintori usati, in vecchie bombole di gas, infissi che hanno cent'anni.